A distanza è tutto più difficile, figurarsi durante un’emergenza globale. Non so perché ho sempre avuto questo dono innato di conoscere alcune persone prima di una mia partenza, non l’ho mai compreso. Questa volta però mi sono superata. Eravamo già partiti male, dopo una settimana dalla nostra conoscenza ero già ritornata a Padova, dove sto terminando i miei studi. E così tutto è iniziato: 400km di distanza come prima tappa. Mi ricordo quanto fosse difficile partire ogni volta, non ti abitui mai, neanche dopo un bel po’ di tempo. Io ho sempre odiato i saluti, quella sensazione di pesantezza che ti avvolge, lentamente. La senti partire dalla zona lombare e salire su per la spina dorsale che senti spezzarsi, allo stomaco che senti vuoto, privato di ogni organo. Ai polmoni che faticano a muoversi con tutto quel peso, neanche ne parlo del cuore, che non so dopo tutto, come faccia a battere con così tanto vigore. Ma il peggio è quando ti arriva alla testa, ti annebbia la vista, ti lascia quel gusto disgustoso e amaro in bocca. E il cervello smette di funzionare razionalmente. E tu lo sai che non stai partendo per la guerra, che non ci sarà nessuna trincea ad aspettarti, eppure in quella valigia ti sembra di avere del piombo.
La prima settimana di solito è la più tosta, dopo due giorni ti sembrano passati mesi. Io però ho sempre sofferto il weekend. Perché in cuor tuo sai benissimo che il tuo posto non è da nessun’altra parte se non con lui, in quel vostro nido, che diventa così intimo soprattutto nei weekend. Sarò banale, ma dormire insieme è il momento più sacro per una coppia. Ti abbandoni, totalmente e incondizionatamente, tra le sue braccia. Tra un intreccio di corpi scomodi, ma estremamente perfetto. E sei indifesa, le tue armi sono scariche, la tua armatura sulla sedia, niente ti può difendere, ma tu scegli comunque di fidarti. E così al tuo risveglio ti accorgi che non dormivi così serena da tanto tempo, che le coperte sono ancora in ordine e non sul pavimento, che sei riposata e compiaciuta. Bé in realtà nel mio caso, ho occupato tutto il letto, l’ho spinto fino al bordo e avrò cambiato almeno cinque o sei posizioni. Ma la cosa che più mi fa sentire a casa è quando io, dopo aver dormito quattro ore, lo sveglio con fin troppa euforia per essere una domenica mattina. “Dormi è ancora presto” mi sento dire e un secondo dopo sento le sue braccia stringermi al suo petto, un po’ per necessità, un po’ forse per timore che mi alzi dal nostro nido, che per noi significa non tornarci per un po’.
La seconda settimana inizia a pesare meno, inizi ad abituarti alla sua assenza, certo lo senti per messaggio, a volte ci scappa una chiamata, quando ti va di lusso persino una videochiamata. Sì perché a distanza devi organizzare tutto: i suoi tempi, e i tuoi, gli imprevisti, il telefono sempre carico, perché sai fin troppo bene che se perdi quell’occasione sarà un’utopia averne una seconda durante la giornata. Ma il difficile arriva quando devi prenotare treni, calcolare coincidenze, capire se hai abbastanza soldi per prendere un biglietto aereo. Mica è così facile per uno studente fuorisede far tornare tutti i calcoli a fine mese. E non lo è neanche per un lavoratore avere le ferie quando tu non sei in sessione, o non hai tutti i giorni lezione.
Comunque i primi sei mesi sono andati bene, mi sembra folle dirlo ma fu un lusso aver passato tre settimane di fila nella stessa città, soprattutto dopo che, spinta da un’altra occasione, mi ritrovo in Spagna per altri quattro mesi, durante una pandemia globale. Questa è sicuramente la parte più stressante. Sono partita il 18 febbraio e tra due giorni ci saremmo dovuti rivedere, se non gli avessero cancellato i voli. Ed è stato come un pugno dritto in faccia o nello stomaco, insomma dove fa più male. Dopo 24 giorni finalmente avrei potuto toccarlo di nuovo, accarezzargli il viso, vederlo sorridere senza avere uno schermo di mezzo. Avrei sentito il suo odore, e risentita la bellissima sensazione delle sua dita tra i miei capelli. Ma invece ti si chiede di stringere ancora i denti. E lo fai, perché in fin dei conti sei abituata, perché non è colpa di nessuno, perché lui vale molto più di una misera resa davanti ad un ostacolo. E allora riparti con i countdown, ma questa volta solo delle settimane perché sembrano di meno rispetto ai giorni, a stamparti sulla faccia un sorriso troppo tirato per essere spontaneo. Ma la verità è che dentro vorresti crollare, e ti ritrovi ad addormentarti con le lacrime agli occhi e a comporre il suo numero di telefono per dirgli “non ce la faccio così“. E iniziano le liti, l’aria è tesa, inizia a mancarti la tua famiglia, i tuoi amici e ovviamente lui. Ma sai che tanto a pasqua tornerai a casa.
Ora, in effetti, io non potevo sapere cosa sarebbe successo dopo. Un’intera nazione in quarantena, la mia ovviamente. Fino al 3 di aprile non potrò rientrare a casa, e ovviamente il mio volo era stato comprato per il 2. Cancellato. Per la prima volta nella mia vita ho sentito il panico assalirmi. Mai avrei pensato di urlare che avrei mollato tutto, che io non ce l’avrei fatta a resistere fino a data da destinarsi. Tornerò per le feste? O subito dopo? A fine aprile o i primi di maggio? Quando potrò rivederti? E nel frattempo i giorni passano, le settimane si allungano e sai che alla fine passeranno 46 giorni o anche di più, prima del vostro incontro. E l’unica sensazione che provi è una forte nausea che ti spezza in due. Ma continui a sorridere perché sai che se ti spezzi tu, se ti concedi questo lusso, l’altro ne soffrirà tremendamente. Bisogna essere forti insieme per mantenere una relazione, figurarsi a distanza. E così continui a dirti che presto vi vedrete, che alla fine non è così tanto tempo. Che siete forti abbastanza per superarla e che le chiamate aumenteranno, anche l’affetto aumenta in questi casi. Ti sembra stupido all’inizio dire certe cose un po’ “smielate“, ma dopo così tanto tempo lontani, ti sembra stupido non dirle. E hai bisogno di fargli sapere quello che provi, che in fin dei conti sei sempre bella anche in pigiama, e ci credi anche quando te lo dice. E vuoi fargli sapere che adori ogni sua imperfezione perché ti manca estremamente. Perché è di quello che ti sei innamorata, dei suoi difetti e dei suoi opposti.
Per esempio a me non piace la carne al sangue mentre lui ne va pazzo. Pochi giorni fa stavo camminando e avvicinandomi a una “carniceria” mi sono venuti gli occhi lucidi, perché in quel momento gli avrei comprato 20kg di carne solo per poterci sedere al tavolo e battibeccare sulla sua cottura.
E ci sono dei giorni in cui vorresti mollare tutto e tutti, perché stare insieme a qualcuno, dedicarsi a lui, significa scoprire quella tua parte tanto delicata, che hai custodito con tutte le tue forze, ormai già piena di crepe. Ma la verità è che sai perfettamente che quella parte di te così delicata e profonda, in realtà è sempre stata sua. E così non hai scelta che ricomporti, tirare fuori quell’armatura che avevi deposto e riaprire le danze. Anche se non sai quando, tu ogni sera vai a dormire con la speranza che le distanze si possano accorciare presto, ogni mattina ti alzi con l’ansia di avere una data. Va tutto bene, ce la faremo. Ripeti più a te stessa che a lui. Imparerò a prendermi cura di te, di noi, anche a 1429km di distanza. E non vedi l’ora di riuscire a rubare ancora un po’ di tempo, quel tempo infame che è sempre mancato. Ci vediamo presto amore mio, oggi meno di ieri.