La quarantena fa schifo. Possiamo raccontarcela per giorni, ma la verità è che siamo tutti stanchi. Anch’io proverò a raccontarla a me stessa, solo per trovarci del buono. O per evitare il reparto di psichiatria. Siamo tutti agitati, nervosi, preoccupati, a tratti egoisti, poi un po’ altruisti. A volte cittadini modello, spesso giudicanti. É colpa degli altri, poi un po’ nostra, ma più di tutti, è colpa di quelli che stanno ai vertici. Sventoliamo la bandiera tricolore, ma siamo un popolo di caproni. La verità è che io avevo bisogno di fermarmi. Ci sono riuscita, mi ci voleva una pandemia mondiale. La prossima volta però un po’ meno. Ero in erasmus, ero in Spagna, era tutto organizzato, tutto incastrato perfettamente, e ora sono in Italia, a Genova e non sai più cosa potrai fare tra una settimana, o cosa succederà tra un mese. Ringrazi di stare ancora bene, che la tua famiglia e i tuoi amici siano solo all’orlo dell’esaurimento, ma nulla di più.
Io sto bene a casa. Era da tempo che non passavo intere giornate con i miei genitori, a litigare con i miei fratelli. Era da tempo che non ero partecipe del casino che la nostra famiglia è in grado di produrre h24. Delle battute assurde di mio padre, degli scioperi di mia madre senza una reale motivazione, di mio fratello che tormenta mia sorella, di mia sorella che tormenta mia madre, di mio padre che tormenta me. Non ci possiamo abbracciare perché mio fratello lavora in ospedale, sul divano ci si può stare non più di due alla volta, ci sono i turni per la sdraio in poggiolo, I turni spesa e i turni spazzatura. C’è mia sorella che passa l’amuchina in tutte le maniglie, mio fratello che divide la casa in zone contaminate e non, e mio padre che se ne dimentica. C’è mia madre che con pazienza cerca di tenere a bada quattro cani sciolti, mio padre che aderisce a tutte le catene del web. C’è il bollettino della protezione civile alle 18, c’è il bollettino dell’ospedale dove lavora mio fratello e ci siamo io e papà che da virologi passiamo a diplomatici, politici, e ministri. Ci sono le mie amiche, che come me, come tutti, si annoiano. E ci sentiamo ogni giorno in videochiamata a festeggiare compleanni, a condividere schede della palestra, tutte struccate, in pigiama e a lamentarci che mangiamo come se soffrissimo la fame. Ci sono i gruppi whatsapp, attivi come non lo sono mai stati. Ma che adesso non vengono silenziati perché ti salvano dalla noia. C’è il tuo ragazzo, che non vedi da un mese e che non vedrai per chissà quanto altro tempo. Che ti manca, dio quanto ti manca. Ma c’è, c’era e continua ad esserci. E alla fine a casa si sta bene, ma ti mancano le persone, ti manca toccarle, sentire i loro odori, vedere quelle espressioni che conosci molto bene, ma che un po’ stai dimenticando.
Siamo tutti distanti, nulla di nuovo per me, ci sono abituata. Ma, incredibilmente, non siamo soli. Ci riserviamo attenzioni che davamo come ovvie, ma di cui ne abbiamo ancora bisogno, estremamente bisogno.
Non impareremo niente da questa situazione, non lo facciamo mai. Ma domani, quando tutto questo finirà, quando torneremo a stare insieme per davvero, bé ci accorgeremo di quanto siano speciali i nostri amici, con cui hai superato pure questa. Che a passare da casa e stare con la tua famiglia non è più un peso, ma un privilegio. Che passeremo più tempo con la nonna, che non deve per forza andare tutto di corsa, che a volte dobbiamo goderci per davvero il tempo che abbiamo con alcune persone. Ci accorgeremo, e forse neanche troppo, che è bello leggere, prendersi cura di sé, parlare e confrontarsi, che se anche ci scoccia svegliarci presto la mattina, lavorare ci rende liberi, che studiare in biblioteca non fa poi così schifo, che l’attività sportiva alleggerisce un po’ tutto, e che litigare per cavolate non ha davvero senso. Ci accorgeremo che dormire bene e il giusto ci dà l’energia essenziale anche a 25 anni, e che in fin dei conti, conta solo chi sa restare.
La quarantena fa schifo, ma forse del buono c’è. Forse dovrei raccontarla un po’ meglio sta storia del “forse del buono c’è”, forse non c’è proprio niente di buono. Ma mi piace credere di avere avuto del tempo extra che mai avrei pensato di avere con la mia famiglia. Di aver stretto ancora di più i legami con i miei amici che, chi più chi meno, sono nella mia vita da anni. Di sapere che ogni giorno c’è una persona che si addormenta con il desiderio di vedermi presto, e si sveglia con l’attesa di fare quella chiamata a fine giornata. Mi piace pensare che questa volta riuscirò a preparare tutti gli esami senza ridurmi all’ultimo, ma mi piace pensare che neanche a sto giro ne sarò in grado.
Il covid-19 ci ha privato di tante libertà, ma questa quarenta ci sta dando la possibilità di fermarci un secondo per capire chi siamo, cosa vogliamo e con chi vogliamo stare. E forse, questo, è catalogabile come buono.